Meditazioni bibliche

 

SODOMA NON AVEVA LA BIBBIA

9 Dicembre 2012  -  di Leonard Ravenhill   –   Ho spesso pensato ultimamente ad una frase pronunciata dal noto predicatore Jonathan Edwards, che tanto influsso ha avuto sul risveglio spirituale. Per descrivere la giustizia divina, che è puntata verso il nostro cuore come una freccia aguzza, egli dice: “Tutto ciò che ci meritiamo è un Dio adirato che ci guarda da lontano senza rivelarci nulla e senza aiutarci”. Questa frase mi viene continua mente in mente e mi chiedo: quali doveri dovrebbe avere Dio verso un popolo che riesce a commettere in un solo giorno più peccati di quelli che venivano commessi a Sodoma e Gomorra in un anno intero? Pensiamo inoltre al grande privilegio che abbiamo di sentir predicare l’Evangelo già da molti secoli, mentre invece gli abitanti di Sodoma non lo udirono mai.


 Sodoma non ebbe mai comunità cristiane né chiese, noi ne abbiamo milioni. Sodoma non aveva né pastori né predicatori, noi ne abbiamo migliaia. Sodoma non aveva università con facoltà di teologia, non aveva seminari teologici né scuole bibliche, noi ne abbiamo invece molte.  Sodoma non aveva la possibilità di leggere letteratura cristiana o di sentire programmi radio o televisivi cristiani. Noi abbiamo tutte questa possibilità. Sodoma non poteva ispirarsi a tutti quegli esempi che sono a nostra disposizione in quella storia che ben conosciamo e che, pur essendo vecchia di migliaia di anni, ci aiuta a comprendere sia la giustizia che la misericordia divina. Con l’aiuto di quella storia potremmo riempire molti volumi.


Benché Sodoma fosse in una situazione di tale svantaggio, non avendo tutti i privilegi che abbiamo, essa dovette venir distrutta. Anche il nostro popolo vive oggi per grazia di Dio. L’unico motivo per cui la giustizia divina non ci ha ancora annientato è la grazia e null’altro che la grazia. Nella storia della nostra nazione Dio ci ha veramente messo in guardia parecchie volte. Abbiamo abbastanza motivi per stare all’erta. E’ bene che ci chiediamo ancora una volta:

1. -  Quali doveri ha Dio verso un popolo del quale solo la minima parte passa un’ora in chiesa la domenica e di cui la stragrande maggioranza non si interessa per niente di Dio e disprezza il Suo santo Nome?


2. – Quali doveri ha Dio verso un popolo che mette in mostra nelle rivendite di giornali ogni sorta di oscenità e non trova posto per giornali cristiani?


3. – Quali doveri ha Dio verso un popolo che diventa sempre più ostile verso l’infanzia e che spende milioni appartenenti alla cassa pubblica per pagare pratiche di aborto?


4. – Quali doveri ha Dio verso un popolo che misericordiosamente ha aiutato a diventare uno dei più ricchi popoli del mondo ma che spende soltanto una cifra insignificante per aiutare le opere missionarie nel terzo mondo?


5. – Quali doveri ha Dio verso un popolo che spende in un anno più denaro per acquistare cibo per cani, gatti ed altri animali che per la propagazione dell’Evangelo nel proprio paese?


I popoli che si comportano in tal modo non avrebbero nient’altro da aspettarsi che di essere colpiti dal giudizio di Dio, com’è accaduto nell’Antico Testamento ogni volta che le leggi divine venivano violate.


Esiste però una speranza! C’è qualcosa che può salvare la nostra società dalla completa decadenza, e questa speranza è la proclamazione dell’Evangelo di Cristo da parte di “quel residuo secondo l’elezione della grazia” – di quel popolo cioè che non ha piegato le ginocchia di fronte agli idoli di questo mondo e che non si è lasciato scoraggiare dallo scherno e dalla persecuzione.


Nel momento in cui Abramo smise di pregare per Sodoma, la città andò incontro alla distruzione. Fintanto che Abramo intercesse presso il Signore, gli abitanti di Sodoma ebbero un rappresentante che li difendeva da-vanti a Dio. Fintanto che Lot viveva a Sodo-ma, Dio aveva in lui un rappresentante, anche se Lot era un uomo di fede debole e non estraneo alla corruzione. Fino al momento in cui Lot lasciò Sodoma ed Abramo ebbe esaurito le sue preghiere, poiché non c ’ erano dieci uomini giusti in tutta la città, il fuoco del cielo non cadde su Sodoma (Genesi 19,24). Sodoma fu distrutta perché non c’era in essa un solo uomo giusto. La comunità di Gesù Cristo rappresenta oggi, tra i nostri popoli, quel residuo santo che tiene lontano il giudizio.


Preghiamo dunque, assieme al Salmista, “Porgi orecchio, o Pastore d’Israele, che guidi Giuseppe come un gregge; o tu che siedi sopra i cherubini; fa risplendere la tua gloria!” (Salmo 80:1).  La comunità di Gesù Cristo è il sale della terra che mantiene in vita la società umana nei nostri tempi turbolenti.

 

 LEZIONI ALLA SCUOLA DELLA PREGHIERA

 

8 Dicembre 2012  |   di Arthur  Tappan Pierson    -   Colui che va nella presenza di Dio con fretta, e velocemente esprime un paio di richieste formali per poi ritornare alla cura delle cose esteriori, non fa in tempo a dimenticare ciò che rimane all’esterno, e ad imprimere in se ciò che c’è all’interno del stanza segreta.

 

Non prende tempo a fissare lo sguardo della sua mente su ciò che è invisibile ed eterno. Molti dei cosiddetti “uomini di preghiera” non hanno mai per davvero una volta incontrato e visto Dio nel segreto.L’anima, disturbata e agitata, sballottata su e giù e spinta qua e là dai pensieri mondani e dalle preoccupazioni, non può essere più uno specchio per riflettere Dio, come un lago agitato non può essere lo specchio delle stelle che nel cielo volteggiano sopra di esso.

 

Chi vuole guardare giù, nelle profondità del suo cuore, e vedere Dio riflesso, deve rimanere abbastanza a lungo nella Sua presenza affinché la sua anima in tempesta si acquieti. Solo quando Egli dà prima la pace allora la nostra natura è calma sufficientemente da diventare lo specchio delle cose celesti.

Ma quando tale comunione diventa reale, la preghiera allora cessa di essere mero dovere e diventa delizia. Ogni senso di dovere si perde in privilegio. L’amore cerca la compagnia del suo oggetto, semplicemente per il gusto di essere in presenza della persona amata, esattamente come un bambino entra tranquillamente nello studio di suo padre per il desiderio di stare con lui, “solo per stare con te, papà”.

 

 Non abbiamo conosciuto anche noi cosa vuol dire stare in compagnia di qualcuno che amiamo solo per il piacere della sua presenza, magari anche in silenzio?  E non amiamo Dio abbastanza da chiuderci con Lui, a volte, solo per la gioia della sua presenza?

 

Giuda ci consiglia di “pregare nello Spirito Santo”, come un mezzo con cui mantenerci nell’amore di Dio, egli che conosceva le estasi della stanza segreta, sa mantenere se stesso nell’amore di Dio, trovando in quella stanza il raggio di sole la cui luce illumina, il cui amore riscalda, la cui vita ravviva. La presenza di Dio diventa l’atmosfera in cui egli  respira e senza la quale la sua vita spirituale non può sopravvivere.

 

Tale abitudine di stare nella presenza di Dio, e dimorare nella Sua perfezione gloriosa sviluppa un santo ed incantevole amore, che non può che dire, come qualcuno diceva: “Ho una sola passione: ed è Lui e Lui solo!

 

[Arthur Tappan Pierson (6 Marzo 1837 - 3 giugno 1911) è stato un pastore americano presbitariano , uno dei primi leader fondamentalisti.  Ha predicato più di 13.000 sermoni, ha scritto più di cinquanta libri, e ha avuto un ministerio di insegnamento biblico che lo hanno reso famoso anche in Scozia e Inghilterra .]

 PROVE E TENTAZIONI

7 Dicembre 2012  -  di J.C. Philpot   -  ”Affinché la prova della vostra fede, che è molto più preziosa dell’oro che perisce anche se vien provato col fuoco, risulti a lode, onore e gloria nella rivelazione di Gesù Cristo”.  1 Pietro 1:7     –

 

Le prove e le tentazioni sono i mezzi che Dio usa per manifestare all’anima la realtà e la forza della fede che egli sparge su di essa; perché c’è in ogni prova e in ogni tentazione opposizione verso la fede che è nel cuore , e ogni prova e tentazione, per così dire, minacciano la vita della fede. E la minacciano in questo modo. Nel tempo della prova Dio, la maggior parte delle volte, si nasconde. Egli elargisce, invece, una segreta forza con la quale l’anima si sostiene, perché altrimenti sprofonderebbe nella disperazione più totale, e sarebbe sopraffatta e inghiottita dalla potenza dell’incredulità.

 

Da qui nasce il conflitto tra la prova che lotta contro la fede, e la fede che combatte contro o piuttosto sotto la prova. Ora, quando siamo in questa prova, in questo aspro conflitto, in questa fornace, la fede non viene meno, non viene bruciata, non è distrutta, ma mantiene la sua salda presa sulla promessa e la fedeltà di Colui che l’ha data, e questa prova di fede diventa molto preziosa. E’ preziosa per l’anima quando Dio le sorride di nuovo, e diventa così manifesta e genuina. E’ preziosa agli occhi del popolo di Dio, che vedendola prendono conforto e forza da ciò che testimonia l’esperienza di un santo, provato e benedetto, ed è preziosa anche agli occhi di Dio stesso, che la corona con la Sua manifesta approvazione, e pone su essa il sigillo che attesta il Suo sorriso e il  Suo consenso. Ma sopra ogni cosa, sarà preziosa nel momento della manifestazione di Gesù Cristo, non solo nelle Sue varie apparizioni in grazia, ma nella sua apparizione definitiva in gloria, che è ciò di cui parla l’Apostolo Paolo soprattutto quando dice che “essa risulterà a vostra lode, gloria ed onore all’apparizione  di Gesù Cristo “.

 1. IN UNA STALLA DI BETHLEMME

Circa duemila anni fa, in una stalla di Bethlemme nacque un bambino di nome Gesù, il quale visse e crebbe nell'umile casa di un falegname, amorevolmente accudito dalla giovane madre di nome Maria.

Gesù, divenuto adulto, iniziò a rivolgersi agli uomini e donne del suo tempo con prediche, insegnamenti e parole alquanto “strane”, ma che affascinavano soprattutto la povera gente, i diseredati, gli sfruttati.            

Un giorno, dopo aver insegnato per qualche tempo nelle sinagoghe della Galilea e predicato il regno di Dio, guarendo ogni malattia e infermità tra il popolo, si diresse, seguito da una gran folla, verso il monte.            

Qui giunto, insieme ai suoi discepoli, si pose a sedere e prese a parlare dicendo: “Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli. Beati quelli che sono afflitti, perché saranno consolati. Beati i mansueti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché a loro misericordia sarà fatta. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio”... ed altro ancora.            

Gesù andò così svelando i tesori del “cuore” del Padre, ai suoi umili e meravigliati ascoltatori, servendosi in più occasioni, anche di narrazioni e allegorie.            

La predicazione di Gesù, stando a quello che ci raccontano i Vangeli, trovò subito notevole ostilità da parte dei dotti del tempo e dei custodi della legge (Scribi e Farisei) i quali percepiscono vagamente che qualcosa va oltre le sue parole; comprendono il pericolo che può diffondersi da una così “stravagante” predicazione; sono infastiditi dalle “sferzanti” parole a loro dirette.            

Lo attenderanno al varco, lo prenderanno nella capziosità della “norma” e lo uccideranno per mano dei soldati romani.            

La predicazione di Cristo, quindi, specialmente tra le classi colte del tempo, sembrò cadere tra gli sterpi, rimanendo così quasi completamente soffocata.            

Solo tra i miseri, gli oppressi, tale predicazione trovò spazi di accoglienza, e cioè (potremmo dire) tra quella “risacca” di esseri umani che lascia dietro di sé il fiume della vita

2. IL MESSAGGIO EVANGELICO

Dopo la morte e la resurrezione di Gesù, ebbe luogo la discesa dello Spirito Santo il giorno di Pentecoste.

Il messaggio evangelico iniziò così a diffondersi ad opera dei primitivi discepoli e di quelli successivi che via via andavano aderendo alla "nuova" religione.            

Risalendo alle fonti storiche, si osserva che nei primi tre secoli il messaggio evangelico trovò scarsa accoglienza, nonché forme di contrasto e di repressione anche particolarmente feroci, soprattutto da parte del mondo greco-romano.            

Solo con l'editto di Costantino del 313 d.C., il messaggio evangelico trovò "definitiva" accoglienza presso la dominante società romana, la quale, a poco a poco, finì per assorbire e sopraffare l'originaria struttura religiosa cristiana.            

In tale situazione, la filosofia e terminologia greca trovarono ampie possibilità di infiltrarsi via via nella cristianità, fino a raggiungere una posizione di prestigio, di guida e infine di potere.            

Così, il messaggio evangelico andò progressivamente stemperandosi in acquiescenza di quella dominante mentalità "pagana" che finì per dominarlo quasi completamente.            

In fondo a tutto ciò, quindi, continuava a vivere quel substrato egoistico e soprafattivo che la parte "pensante" si rifiutò di affrontare, ritenendo più facile continuare ad esercitare la propria attività in campi di pura speculazione astratta, nei formalismi e nella esteriorità.            

A poco a poco, la misera "cappelletta" ascosa dei cristiani delle origini, fiocamente illuminata da qualche lucernetta di terra, si trasformò in una sontuosa basilica, splendente di ceri, smagliante di oro, ricca di pietre e legni pregiati, adorna di decori e opere d'arte, profumata di incensi, sonora di musiche e canti.            

Parallelamente, la violenza che Cristo aveva bandita, sostituendola con l'amore, riemergeva, a poco a poco, ricoprendosi  di un manto di ipocrisia, tanto più fitta quanto più la "magnificenza" si ergeva. 

Con le istituzioni sacramentali si instaurò una liturgia fastosa, superstiziosa ed astratta.