La nostra storia

Chiesa  Cristiana  Evangelica  A.D.I.
Chiesa Cristiana Evangelica A.D.I.

In  occasione  della  visita  in  Italia, Giacomo Lombardi  incoraggiò  i  credenti locali all’apertura di una nuova sala di culto. La vocazione cristiana, oltre che nell’edificazione dei credenti, si deve espletare nell’evangelizzazione dei non credenti, tale è l’insegnamento biblico e tale era l’impulso divino, che quello sparuto gruppo aveva ricevuto dall’esperienza Pentecostale. Nei primi mesi del 1919, e fino al 1922, la nascente comunità si trasferiva in via Principe Amedeo, in quello che sarebbe stato il primo locale di culto evangelico pentecostale aperto al pubblico a Roma.
Lombardi stesso curò l’umile arredamento del locale, che conteneva una ventina
di sedie ed una pedana, oltre ad una portiera destinata a divenire famosa, allorché alcuni ragazzi pensarono bene di appiccarvi il fuoco durante una riunione di culto. L’evento viene narrato da un cronista del quotidiano “il Popolo di Roma”, che in un suo articolo, benché di tono denigratorio, lascia la descrizione del locale.
La sala era stata presa a fitto, fu così più semplice per i credenti invitare parenti ed amici, fino ad allora reticenti nel partecipare alle riunioni che si tenevano in case private. La fede che i credenti avevano nel Signore, unita ad una fervente visione missionaria,
si tradussero ben presto nella conversione di diverse persone.
Coloro che venivano aggiungendosi alla comunità testimoniavano della propria fede ubbidendo al comandamento del Signore del battesimo per immersione. Allora i battesimi si tenevano presso i bagni Cobianchi di via Ferruccio, dove solitamente ci si recava per lavarsi, poiché la quasi totalità delle abitazioni era sprovvista di bagni propri. Fra i passanti, nel mese di febbraio del 1919, c’era anche Teresa Nigido, la cui attenzione fu attratta da un gruppo di persone che cantavano. Lo stesso Lombardi le spiegò cosa stava accadendo. Teresa Nigido, nonostante le difficoltà mossele dal
marito, iniziò a frequentare le riunioni in via Vittorio Amedeo, prestò accettò il Signore e divenne negli anni l’altro punto di riferimento della comunità di Roma insieme alla sorella Paretti.
Nei primi anni venti si aggiunse alla comunità un gruppo di neofiti provenienti dalla zona di Camerino, in provincia di Macerata, fra loro vi era Ettore Strappaveccia, un uomo destinato a svolgere un ruolo determinante nel futuro della chiesa. Nel 1919 si convertirono al Signore la consorte Lidia e la sorella dello Strappaveccia, nonostante all’inizio Ettore stesso cercasse loro di impedirlo con tutti i mezzi. Presto, però, anche
il persecutore fu vinto dalla Parola divina; pochi mesi dopo la conversione, il fratello Strappaveccia sperimentò il Battesimo dello Spirito Santo, un’esperienza che si tradusse immediatamente in un desiderio insopprimibile di servizio cristiano, difatti, poco tempo dopo, venne eletto pastore della comunità.
La stessa credente che aveva evangelizzato Assunta Strappaveccia, madre di Ettore, invitò all’adunanza anche Marianna Mattei, moglie di Angelo Arcangeli. Fu così che nel 1919 si convertì anche Luigi Arcangeli, figlio di Angelo, che si unì in matrimonio con una giovane credente di La Spezia, Elvira Rocchi. Il villino degli Arcangeli, sito
in via Clitunno 10 a pochi passi da via Adige, divenne famoso perché fu una delle sedi dei culti clandestini durante il periodo della persecuzione. Nello stesso stabile abitavano anche le famiglie Ceccarini ed Alessandro Arcangeli, scomparso durante i bombardamenti di Roma, a cui si aggiunse presto anche Eliana Rustici. Luigi Arcangeli venne presto eletto vice-pastore e tale rimase fino alla sua scomparsa, mentre Elvira si segnalò per l’amore e la cura instancabile dimostrata verso tutti, specialmente negli anni più difficili.

Ettore Strappaveccia, costruttore e imprenditore, era benestante, volle mettere così a disposizione la sua personale abitazione per tenere i culti in un villino sito in via Adige numero 20, nel nuovo quartiere Savoia che poi si trasferì fino a tutt’oggi in via Tagliamento, 57/f. La generosità dello Strappaveccia sempre prodiga nei confronti dei meno abbienti, venne perfino annotata nei primissimi resoconti degli ispettori del regime fascista. Egli non negò a nessuno dei fedeli bisognosi un aiuto economico, né disdegnò mai di accogliere nella sua abitazione o alla sua tavola i suoi fratelli in Cristo.
Lo Strappaveccia, benché non fosse dotato di una particolare istruzione, basò la sua preparazione biblica unicamente sulla Bibbia. I ricordi più limpidi descrivono il suo ministerio votato sopratutto all’evangelizzazione; spesso piangeva commosso di fronte all’uditorio nel tentativo di spiegare il meraviglioso amore di Gesù

Il suo aspetto mite e quiete, così chiaro nei ricordi dei giovani di via dei Bruzi negli anni cinquanta, fu sufficiente ai suoi contemporanei per scagionarlo da tutte le calunnie ed accuse a cui purtroppo dovette far fronte ad un certo punto della nostra storia.
Nel 1922 la comunità, che aveva raggiunto il numero di quaranta fedeli, si trasferì in via Adige 20. Coincidenza vuole che nello stesso anno si inaugurò in Italia una nuova stagione politica destinata a segnare profondamente le sorti del nostro Paese e, ben presto, anche quelle del movimento Pentecostale. La marcia su Roma del qu
adriunmvirato, avvenuta proprio nel 1922, sancì l’inaugurazione del governo Mussolini, capogruppo del Partito Nazionale Fascista.l nuovo locale di culto di via Adige venne ricavato nel seminterrato di un villino di proprietà di Strappaveccia; il locale subì negli anni diverse modificazioni per aumentarne di volta in volta la capienza, difatti, il numero dei fedeli nell’arco di pochi anni superò le duecento unità. La sala, ai nostri giorni, è occupata dall’officina di un meccanico, e porta le tracce dei vari interventi a cui è stata sottoposta. È costituita da una zona a destra, che era la prima configurazione (ne è testimone la pavimentazione ancora originale), e da una seconda zona limitrofa, posta alla sinistra ed ora separata da un muro, nella quale fu realizzato un nuovo scavo per ricavarne la platea, facendo diventare il vecchio locale una galleria, la nuova entrata era in via Agri 7.
La sala era, secondo il resoconto delle spie fasciste, spoglia perché non adorna di statue; il bianco delle pareti era interrotto solo da un dipinto a muro, una grande Bibbia con scritto il versetto: “Celebrate il Signore, predicate il suo nome e fate sapere i suoi fatti fra i popoli”.
Del
periodo nel quale i culti si tennero in questo locale di culto dobbiamo necessariamente annoverare le numerose conversioni, alcune delle quali destinate a far parte indelebilmente della nostra storia.
Come non citare, ad esempio, Pantaleone Laudisa e le sue tre figlie, Ofendia, Amelia e Fiordisa Primo maggio, Nicola Pantaleone, originario di San Cesareo (Lecce), aveva ricevuto la testimonianza evangelica negli anni 20 a Milano. Pantaleone, come preferiva essere chiamato, era personaggio del tutto particolare. Autodidatta esercitava con successo il mestiere di scultore e architetto; propugnatore delle idee socialiste, come ben si può cogliere nel nome di una
delle figlie, era uno dei baluardi del mondo operaio del Salento. Dell’eclettico Pantaleone ci rimane perfino una lettera, che scrisse all’allora capo del governo Giovanni Giolitti.
Nel 1922 giunse a Roma, ed accettò la testimonianza pentecostale insieme a tutta la sua famiglia, dalla quale emerse presto la figura di Fiordisa; che oltre a possedere un diploma di scuola media superiore, la patente, allora rarissima fra le donne, era dotata di un’intelligenza e di un carattere non comuni.
L'allora conduttore della comunità Ettore Strappaveccia impiegò Fiordisa come segretaria della ditta di costruzioni da lui diretta, mentre in seno
alla comunità, si trovò ben presto a far parte del gruppo direttivo insieme ad Angela Gariglio Paretti, curando ad esempio la corrispondenza con i responsabili delle varie comunità e l'organizzazione dei Convegni nazionali del 1928 e 1929.

UMBERTO GORIETTI E ROBERTO BRACCO

Solo alcuni anni dopo la conversione del fratello Umberto Gorietti, nel 1933, si aggiunse alla famiglia dei santi un altro giovane: Roberto Bracco, che udì per la prima volta il messaggio dell’Evangelo da una semplice ed umile credente, una donna di servizio, che svolgeva in quel tempo il suo lavoro nella famiglia Bracco.

Ben presto lo Zaccardi riuscì ad ingraziarsi il favore dell’uditorio, l’occasione gli veniva offerta dal fatto che a quel tempo libertà di predicazione era allargata a diversi fratelli. Il richiamo costante a una rigida e inflessibile morale cristiana, suscitò in molti giovani facili entusiasmi. Di fatto però l’appello ossessivo alla perfezione e all’incorruttibilità cristiana venivano quasi assunte a causa della salvezza e non più, come insegna la Scrittura, come effetto. Si venne così creando un gruppo elitario che propugnava tali idee. La spaccatura interna divenne insanabile allorché il gruppo capeggiato dallo Zaccardi accusò di dubbia moralità Ettore Strappaveccia. Sebbene le accuse mossegli non furono mai provate con fatti concreti, l’allora conduttore della comunità di Roma si defilò, anche perché contemporaneamente un decreto del governo gli revocò il regolare permesso di ministro di Culto. Il regime fascista, ormai vero totalitarismo, aveva raggiunto in quegli anni il culmine della sua forza e popolarità.

1926: INIZIO PERSECUZIONE FASCISTA

Cosa era successo durante gli anni trascorsi? In generale la repressione fascista conobbe fasi alterne in cui a picchi di violenza si alternavano periodi di relativa quiete: tale alternarsi era chiaramente scandito dalla concomitanza di vicende storiche.
Già dal 1926 s’introducevano nel locale di via Adige delle spie inviate dal Ministero dell’Interno, e non solo, medici, psichiatri e specialisti d’ogni genere sotto mentite spoglie di simpatizzanti presenziavano alle riunioni. Intenzione del regime era di documentare la follia delle manifestazioni pentecostali, reputate perniciose per la società e dunque da mettere al bando quanto prima.
Secondo tali relazioni i culti
non erano altro che manifestazioni morbose, che si manifestavano in soggetti facilmente suggestionabili, in quanto di bassa levatura culturale. Lo stabilito a tavolino emerge chiaramente nella banale e goffa ripetitività dei contenuti, persino negli aggettivi dei rapporti, seppur redatti da diversi inviati. La lettura di quelle pagine non può far altro che suscitare incredulità, varrà la pena citarne qualche stralcio ricavato dalle numerosissime pagine: “Si adunano tre volte alla settimana i così detti “Pentecostieri”... negli istanti più salienti dell’invocazione gli astanti si univano al declamante con altre grida e gesta, gettandosi in ginocchio bruscamente, percotendosi il petto, singhiozzando, gridando con moti che qualche volta avevano dell’impressionante... tutte quelle manifestazioni vadano ascritte a fatto di suggestione collettiva in soggetti nevropatici isterici epilettoidi... quello spettacolo secondo il mio giudizio è assolutamente dannoso alla salute influendo enormemente sull’equilibrio psichico delle loro facoltà. Ed ancora: “il nuovo culto… dà libero sfogo alle manifestazioni psicomotorie di un intensa esaltazione mistica... può favorire lo sviluppo di psicosi coatte… si sono ripetute le solite scene d’impressionante fanatismo... se vi fosse stato presente un medico alienista non avrebbe certo esitato a prendere in cura molti dei presenti”. Le puntuali descrizioni sono costellate di feroce sprezzo per i fedeli, definiti: “fanatici ed ignoranti... sgrammaticati... incredibilmente imbevuti delle loro teorie… di condizione generalmente inferiore alla media”.
La storiografia nostrana ha purtroppo sorvolato velocemente sull’antisemitismo e sul razzismo postulati anche in Italia. Anni più tardi, sotto il patrocinio del Ministero della Cultura popolare, venne pubblicata la rivista “La difesa della razza”, autentico compendio delle astrazioni razziste di alcuni studiosi. In queste pagine viene delineata la pura razza Italica, di fatto era ormai sancita l’esistenza delle razze, caratterizzate da precisi tratti somatici, psichici, morali e addirittura, secondo una scuola, spirituali.
Come
dunque poteva essere tollerata la presenza dei “tremolanti” nella città di Roma, ovvero nella culla di tutta la simbologia fascista? La conseguenza logica fu la famigerata circolare Buffarini-Guidi del 9 Aprile 1935 con la quale si metteva al bando il culto pentecostale “essendo risultato - citiamo testualmente la nota - che esso si estrinseca in pratiche religiose contrarie all’ordine sociale e nocive all’integrità fisica e psichica della razza”. Il primo effetto di questo promulgamento fu la revoca della nomina concessa al ministro Strappaveccia; nello stesso mese di Aprile il locale venne sigillato della regia questura, e, va sottolineato, veniva allo stesso modo vietata ogni forma di assemblea pentecostale anche in privato. Era l’ora più buia. I nostri fratelli vennero ripetutamente denunciati, il più delle volte arrestati e condotti in questura, poi condotti in carcere per essere ammoniti o condannati al confino politico. Trattati alla stregua di veri criminali, i pentecostali erano segnalati ed identificati. Altri pentecostali vennero letteralmente presi di mira e furono oggetto di ripetute vessazioni. Quirino Pizzini, pentecostale e per di più italo-americano, vide la sua casa in via Foscolo più volte messa a soqquadro nel cuore della notte dagli squadristi; venne malmenato pubblicamente allorché si rifiutava di salutare il gagliardetto Fascista. “Adora Iddio tuo, e a lui solo rendi il culto” rispondeva a chi gli intimava di piegarsi. A seguito delle reiterate percosse subite il nostro fratello ebbe gravi conseguenze di salute. Non va taciuto nemmeno il caso di Ernesto di Biagio, arrestato mentre presiedeva un culto, scontò settantadue giorni di carcere e venne in seguito riportato al suo paese natale, Sonnino, incatenato come un malfattore e posto sopra un carro al fine di darne pubblico spettacolo.Dunque dal 1936 al 1944 le riunioni pentecostali si tennero clandestinamente presso la casa dei fedeli i quali, al fine di non essere sorpresi dalla macchina dell’OVRA, seguivano una vera e propria procedura per non essere scoperti. Si raggiungeva la casa stabilita con atteggiamento del tutto discreto, ci si avvicinava in coppia, con la Bibbia debitamente nascosta, a sufficiente distanza dall’altra coppia che precedeva. Durante la riunione i cantici erano bisbigliati, mentre i credenti a turno rimanevano in piedi vicino alla porta per vigilare. Le incursioni della polizia vennero qualche volta vanificate grazie ad un avvertimento provvidenziale, però, il più delle volte, i credenti venivano colti in flagrante e arrestati. Gli uomini della polizia fascista erano in grado di scovare i pentecostali ovunque, anche nelle campagne più lontane dai centri abitati, soprattutto grazie all’aiuto fornitogli da donne e uomini prezzolati che fingevano interesse per il Vangelo ma che in realtà raccoglievano informazioni sui luoghi di incontro per riferire tutto alla questura.
Le rappresaglie erano ancora più cruente in concomitanza con le fasi cruciali della guerra, come ad esempio lo sbarco degli alleati. Avvenne che il 6 Giugno 1943, in due diverse abitazioni, la polizia sorprese quarantuno credenti in seguito ad una soffiata di una delatrice, di questo episodio la lucida testimonianza di Emma Roma, rilasciata al programma “Protestantesimo” del 1983, in cui racconta dell’arresto subito durante una riunione tenuta in casa sua in via Alessandro Cialdi 28. “Sentii bussare la porta, e mi fu minacciato che, se non avessi aperto, avrebbero sfondato la porta. Mi dissero che quello che stavamo
facendo era vietato,.poco dopo fummo arrestati e condotti in questura”. Ventisei di questi fratelli furono detenuti a Regina Coeli per ventitré giorni, gli altri quindici ammoniti ed alcuni di loro condannati al confino di polizia per tre o cinque anni, fra i quali Luigi Arcangeli, Giuseppe Gorietti, Teresa Rastelli Nigido e Pietro Remoli. Quest’ultima pena inflitta non fu mai scontata dato che il 25 luglio 1943 cadde il fascismo. L’Italia fascista aveva perso la guerra anche con il più innocuo dei nemici: il popolo pentecostale. “La gioia, l’allegrezza fu grande - racconta il fratello Salvatore Gemelli nella sua autobiografia - non si può descrivere… dopo nove anni di persecuzione e di privazioni, finalmente fummo liberi di professare la nostra fede, a Dio sia tutta la Gloria”.

UN LOCALE DI CULTO DEFINITIVO

Almeno tre grandi gruppi si crearono durante il periodo della persecuzione: il primo, proveniente dal nucleo originario di via Adige, era guidato dai fratelli Umberto Gorietti, Luigi Arcangeli, Attilio Pagano, Gioacchino Toppi e Giuseppe Giulivi . Un secondo gruppo si riuniva nel rione S. Giovanni in Laterano, nato dalla testimonianza di Giacomo Lombardi, in seguito conobbe uno sviluppo autonomo grazie all’instancabile opera evangelistica di Quirino Pizzini, proveniente dagli Stati Uniti ed in particolare di quelle comunità che avevano abbracciato le posizioni teologiche di Giuseppe Petrelli. A Quirino Pizzini si aggiunsero i fratelli Ernesto Di Biagio, Domenico Provvedi e Salvatore Gemelli. I due gruppi si unirono verso la fine del 1944, nel 1945 venne eletto il primo consiglio di chiesa della comunità di Roma seppur in assenza di un locale di culto. Il terzo gruppo, guidato da Domenico Zaccardi e Antonio Serlenga, e che aveva la sua sede storica in via Bradano 8, rimase del tutto isolato seppure ci fu, nel 1946, un tentativo di riavvicinamento purtroppo ben presto naufragato.
I culti che si tennero a partire dal 1945 furono tenuti dapprima presso la chiesa Metodista di via Firenze e subito dopo nella sala conferenze dell’YMCA a piazza Indipendenza tre volte la
settimana.
All’inizio del 1946 i fedeli di Roma si trasferirono presso una fabbrica di confetti di via Nomentana, fraternamente messa a disposizione dal fratello Andrea Cacciotti, grandi teli coprivano i macchinari ormai non più in funzione, mentre le casse dei confetti e delle mandorle fungevano da panche. Di fronte a tanta semplicità e alle ristrettezze economiche, furono indimenticate la commozione e le lacrime di Ernest Williams, allora presidente delle Assemblies of God in U.S.A., il quale, predicando una domenica mattina, disse di rivivere l'esperienza dei cristiani dell'era apostolica e della prima ora radunati presso le catacombe.
Nel dicembre dello stesso anno vennero per la prima volta organizzati dei culti d’evangelizzazione in piazza dei Cinquecento ed a Porta Pia.
Già da un anno, intanto, per volere unanime dei fratelli anziani, e per suggerimento del fratello Gorietti, venne eletto alla carica di pastore Roberto Bracco.
Nonostante la sala fosse seminterrata, umida ed angusta, gli anni trascorsi nel locale di via Nomentana furono segnati da molteplici conversioni, i culti di battesimi, tenuti presso il Tevere o nella Chiesa Battista, furono numerosissimi. Nel 1948 un giovane fratello ventenne, Francesco Toppi, fu il primo studente italiano a partire alla
volta dell’Inghilterra per frequentare l’International Bible Training Institute (IBTI).
Nello stesso anno venne acquistato dai fratelli uno stabile sito in via dei Bruzi, nel quartiere San Lorenzo; il palazzo, completamente demolito dai bombardamenti del 1943, fu abbattuto e ricostruito daccapo. A tali lavori prese parte, dopo anni di lontananza, Ettore Strappaveccia. I fondi necessari per la costruzione furono raccolti da Umberto Gorietti in occasione del suo viaggio negli Stati Uniti a seguito dell’invito rivoltogli dalle Assemblies of God.
“Il 2 Ottobre è stato un giorno di letizia cristiana per la comunità di Roma: dopo attese, speranze, diremmo spasimi, abbiamo
finalmente tenuto l’inaugurazione del nuovo accogliente locale di culto”. Così il fratello Roberto Bracco descrive nel periodico “Risveglio Pentecostale” la dedicazione del locale di via dei Bruzi avvenuta appunto il 2 Ottobre 1949. Alla celebrazione furono presenti i rappresentanti di tutte le chiese e dei movimenti evangelici della capitale. In quell’occasione la predicazione della Parola di Dio fu portata dal Dott. Henry Ness, interpretato da Eliana Rustici.
Gli anni che seguirono furono spiritualmente fecondi. Subito venne istituita la “Scuola Domenicale”, alla costituzione della quale si interessò la sorella Lea Palma. Anche grazie a quest’opera, centinaia di giovani sperimentarono il
miracolo della nuova nascita e del Battesimo dello Spirito Santo.